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Attacchi di Panico e Agorafobia

Dalla Paura della Paura alla Paura Patologica

Abbiamo affrontato nell’ultimo articolo il tema della paura della paura o delle Ossessioni, cercando di descrivere come si forma il “loop” del controllo che fa perdere il controllo nelle svariate forme cliniche che ho concretamente incontrato e trattato in terapia; come descritto in quell’articolo, la paura della paura non è la paura patologica, meglio nota come “Disturbo da Attacchi di Panico”.

La paura della paura può trasformarsi nel Disturbo da attacchi di panico” (DSM) i cui sintomi sono tachicardia, sudorazione, senso di soffocamento, sensazione di confusione e mancamento, il tutto associato alla paura di morire e di perdere il controllo.

Chi ha questo problema si focalizza sull’ascolto di se stesso e sul controllo dei propri parametri fisiologici (battito cardiaco, ritmo respiratorio, senso di equilibrio, lucidità mentale) ma, essendo funzioni spontanee, è proprio il loro controllo razionale che ne altera l’espressione naturale (il paradosso del “sii spontaneo”).

Quando una persona rimane intrappolata in questo circolo vizioso mente-corpo, non ha più bisogno di stimoli esterni per avere paura, perché è la sua stessa percezione della realtà che crea il pericolo; a questo punto il livello di paura è così elevato, che il problema è proprio il timore di quelle reazioni psicofisiologiche che si sono vissute nel primo episodio scatenante e che si teme possano riattivarsi. Si potrebbe dire che la persona stessa fa tutto da sola alimentando il cortocircuito mente-corpo-mente, che da “fantasma immaginario” diventa il più reale dei mali.

Il Disturbo da attacchi di panico

Chi soffre di “attacchi di panico” riferisce di avere, nel momento in cui insorge la crisi, due tipi di paura profonda: quella di essere in preda a un malore, un ictus o un infarto e poter morire all’istante, oppure quella di perdere il controllo, la lucidità e poter impazzire.

La persona è vittima della paura della paura che scatena il Panico: le crisi avvengono in situazioni “imprevedibili” e di conseguenza si è sempre in uno stato di allerta come un topolino da laboratorio sempre stressato.

Da un punto di vista clinico sarà fondamentale discriminare se la tendenza della persona è al controllo, ossia combattere la crisi lottando col disturbo e allora avremo una base “ossessiva”, oppure se la tendenza è quella di chiedere aiuto e delegare agli altri per affrontare la paura: in questo caso avremo una base “fobica”.  

A complicare la situazione, per dirla con le parole del Gruppo di Palo Alto, sono le “tentate soluzioni” che le persone attuano, che finiscono col peggiorare ulteriormente il problema del panico.

La tentata soluzione del “ossessivo”, al contrario del fobico che si affida alle risorse altrui, è quella di affidarsi eccessivamente alle proprie risorse, in una sorta di lotta interiore tra se e se e di sfida con la paura.

La tentata soluzione prevalente del fobico è l’evitamento della situazione associata all’attacco di panico: ciascun evitamento viene confermato da quello precedente perché, se si è evitato un luogo e si è stati bene, allora “è stato meglio non andare” e anche in futuro tenderemo ad eludere innescando una catena di evitamenti, abbassando sempre più la fiducia nelle nostre risorse. L’altra tentata soluzione, tipica è la “richiesta di aiuto” e “la delega a qualcun altro della propria sicurezza”: perdendo sempre più fiducia nelle proprie capacità di affrontare la paura, l’individuo cercherà sempre di più ad affidarsi agli altri per farsi accompagnare, proteggere e rassicurare.  

L’Agorafobia

L’agorafobia è l’esempio clinico più evidente di chi tende ad affidare agli altri la propria sicurezza; chi soffre di questo disturbo così invalidante,cioè chi ha paura di stare da solo o di allontanarsi da casa da solo, evita posti e situazioni, perdendo sempre più fiducia nelle proprie capacità e al contempo chiederà aiuto a una “accompagnatore di fiducia” per uscire e farsi scortare, limitando sempre di più la propria autonomia. Spesso, quando arrivano in terapia, questi pazienti affermano di “sentirsi dentro a un’ampolla da cui è impossibile uscire”.

Come si differenziano le due Sindromi: Agorafobia vs. Attacchi di Panico.

Chi soffre di “Attacchi di Panico” teme di poter morire o perdere il controllo e impazzire, come detto, e spesso evita la solitudine per paura di averli (ma il suo “evitamento” in questo caso è basato sul controllo del contesto: ovvero chiama qualcuno per non rimanere da solo).

Chi soffre di Agorafobia, al contrario, ha paura di allontanarsi e di perdersi, di non ritrovare il luogo sicuro, cioè la propria casa; è come un navigatore che ha sempre bisogno vi vedere da lontano la terra ferma, come porto sicuro da cui non allontanarsi.

Perdersi e perdere il controllo sono due livelli differenti: un agorafobico non ha paura di perdere il controllo e di impazzire, ma ha paura di perdersi nel senso di non ritrovarsi, di perdere l’orientamento e non ritornare a casa.

Sindrome mista o composita “agorafobia con attacchi di panico”

Se da un lato l’agorafobia si distingue dalla sindrome di attacchi di panico, dall’altro molto spesso i due livelli possono coesistere dando vita alla sindrome mista o composita di “agorafobia con attacchi di panico: questo si verifica perché l’agorafobia rappresenta la forma più frequente di fobia associata al panico. Alcuni esempi pratici di situazioni agorafobiche associate a reazioni di panico sono: essere fuori di casa da soli, essere in mezzo ad una folla, essere su un ponte in auto, in treno o in autobus.

In questo caso il terapeuta deve rilevare il “sistema percettivo reattivo prevalente”: se la persona ha una base più orientata all’agorafobia oppure alla sindrome degli attacchi di panico.

La prima fase del trattamento dell’Agorafobia si concentra nello smontare quel ”castello” che la persona ha costruito intorno a se per evitare di correre il rischio di avere il “panico” . Si lavorerà sia sugli “evitamenti diretti” – vale a dire l’evitamento di posti e situazioni – sia su quelli “indiretti” o meglio le richieste di aiuto alle “persone stampelle” per farsi accompagnare. Solo in una fase successiva si aiuterà la persona a imparare a gestire le reazioni di panico.

Se invece il sistema “percettivo-reattivo” prevalente è quello degli “attacchi di panico”, l’intervento si baserà su stratagemmi solo apparentemente “illogici” che andranno a interrompere quel circolo vizioso “mente-corpo” descritto in precedenza.

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